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Consiglio Regionale della Campania

Ufficio Stampa e Supporto Legislativo
on. Antonio Peluso, cons. regionale e Presidente Commissione Consiliare Speciale per il Controllo Attività della Regione e Verifica Attuazione Indirizzi Politico-Programmatici

 

 

Dossier

Le società a partecipazione regionale per la gestione dei servizi pubblici locali della Regione Campania

 

a cura di Tommaso Travaglino

 

Indice.

0. Prefazione ......................................................................................pag.7
1. Introduzione: Una chiave di lettura .................................................pag.13
2. Capitolo I : La società mista: natura ed evoluzione storica...............pag 41
2.1 I primordi della questione: la crisi del servizio pubblico locale........pag.43
2.2 I servizi pubblici municipalizzati…………………........…….........pag.44
2.3 Il Testo Unico del 1925……………………........…………....…pag.46
2.4 La crisi del servizio pubblico locale………....................…........…pag.47
2.5. La  legge 142/90…………………….…….............................…pag.49
2.6. L’evoluzione normativa fino ad oggi………...................….......…pag.50
2.7. La legge Bersani n.248 agosto 2006……….............................…pag.55
3. Capitolo II: I dati, società per società…………..............….......….pag.59
3.1. Elenco società accorpate per percentuale di partecipazione .........pag.60
3.2. Elenco alfabetico società partecipate………......................…......pag.61
3.3. Le schede, società per società         ………............................…pag.62
4. Appendice………………………………...............................…..pag. 385
4.1 Foliario……………………………...…....................….......…..pag.387
4.2 Audizioni e comunicati stampa…………....................……......…pag.436
5. Nota bibliografica……………………..…..........................…..…pag.559

 

 

 

0. Prefazione.


Il dossier è suddiviso in una premessa generale, in due capitoli e in un’appendice.
Si tratta di un documento che deve essere comunque considerato in progress, in quanto concerne lo stato dell’inchiesta, che al momento questa Commissione sta producendo.
Scopo di questo dossier è principalmente la pubblicazione sistematica dei dati relativi alle società nelle quali la Regione detiene una quota di partecipazione. E perchè il lettore, anche sprovvisto di strumenti gnoseologici specifici, possa essere messo in condizione di leggere i dati, abbiamo predisposto una scheda di sintesi, che riporta, società, per società, i dati salienti, ricavati da tutti i documenti in nostro possesso, inviatici dalle società in questione, dalle comunicazioni e dai documenti inviatici dagli uffici regionali preposti e dalle audizioni con i vertici delle stesse società. Questo lavoro occupa l’intero capitolo II.
Il Capitolo I è stato necessario per ordinare cronologicamente tutta l’evoluzione della società mista; in tale sezione tratteremo sinteticamente l’evoluzione storica del fenomeno, privilegiando una visione che ha teorizzato la necessità di questo istituto giuridico e che si è tradotta nella normativa che lo regolamenta. Il taglio storico-normativo di questa breve sezione del dossier è fondamentale perché possa delinearsi con più chiarezza il motivo per cui queste società hanno registrato sempre più favor del legislatore e le ragioni profonde di una progressiva estensione del modello societario per la gestione dei servizi pubblici locali. Nell’ excursus storico normativo, si delineano altresì i caratteri e la ratio di questo modello societario.
L’Introduzione si presenta come capitolo sui generis, nel quale vengono espresse valutazioni di ordine generale in merito al lavoro svolto ed allo stato dell’arte in un campo così complesso e dai contorni ancora così incerti. La lettura dei dati, infatti, non può che portare a specifiche considerazioni, talvolta anche notevoli ed inedite.
Chiude il lavoro un’appendice nella quale sono riportate tutte le comunicazioni che la Commissione ha intrattenuto con le società partecipate e con gli uffici regionali in merito all’inchiesta che sta ancora svolgendo. Seguono i verbali delle audizioni con i vertici delle società ed i comunicati che l’Ufficio Stampa della Commissione ha pubblicato in merito.

 

1. Introduzione: una chiave di lettura.

Questo dossier si configura come atto finale di un complesso ed articolato processo di monitoraggio, ad opera della Commissione Consiliare Speciale per il Controllo Attività della Regione e Verifica Attuazione Indirizzi Politico-Programmatici, presieduta dal consigliere regionale Antonio Peluso, in merito alle società a partecipazione pubblica per la gestione dei servizi pubblici locali della regione Campania, un istituto giuridico costituito dal legislatore nel 1990 e che si connota come elemento di sicuro interesse in quanto rappresenta un osservatorio privilegiato sulla fase di incontro tra la cultura pubblicistica e quella di matrice privatistica del diritto commerciale.
Atto finale, dicevamo nell’incipit del discorso, che a sua volta si connota come primo passo di una indagine a tutto campo, che continua ad essere condotta, con ricerche, audizioni dei dirigenti delle società, analisi dei dati, verifica della congruenza dell’oggetto sociale con quanto le stesse società mettono di fatto in campo, monitoraggio dei processi accesi e valutazione della efficacia, della efficienza e della economicità dei percorsi attivati e che nei prossimi mesi, crediamo, si tradurrà in un lavoro di gran lunga più fecondo in merito alla esaustività dei dati riportati e delle valutazioni che potrebbero derivarne.
Intanto non possiamo tacere sul fatto che questa inchiesta è partita appena qualche mese fa, con la richiesta, alle strutture regionali competenti, dell’elenco delle Società nelle quali la Regione Campania detiene partecipazioni azionarie.
Contestualmente, la Commissione ha chiesto di conoscere “lo scopo, l’indirizzo e ogni altra informazione che potesse garantire una compiuta cognizione del panorama complessivo delle società partecipate dalla Regione”.
Sulla base dei primi riscontri ottenuti dall’Ufficio interpellato – a dire il vero limitati alla trasmissione di sommarie informazioni sugli elementi costitutivi delle Società partecipate dalla Regione Campania - la Commissione ha proceduto a successivi approfondimenti istruttori, richiedendo direttamente alle società la documentazione ritenuta utile ai fini dell’esercizio delle funzioni istituzionali, nonché procedendo all’audizione dei legali rappresentanti delle stesse società miste.
Man mano che il lavoro procedeva e che emergevano dati di sicuro interesse, sono state richieste a queste ultime informazioni sempre più approfondite, ritenendo necessario, ai fini dell’esercizio delle funzioni assegnate, non limitarsi ai soli dati rilevabili dai bilanci, ma acquisendo elementi anche in ordine ad aspetti importanti dell’attività delle società partecipate.
Sono stati all’uopo predisposti dei questionari di cui si è richiesta la compilazione ai legali rappresentanti delle società.
Le indicazioni contenute in tali questionari, unitamente a quelle rilevate dai bilanci e dagli atti costitutivi delle società, hanno concorso a determinare l’oggetto della ricognizione svolta dalla Commissione, che, come affermato sopra, è tuttora in itinere, essendo in corso le audizioni dei legali rappresentanti e l’analisi della situazione contabile e gestionale di ogni Società.
In alcuni casi, tuttavia, nonostante reiterati solleciti, la Commissione non è ancora riuscita a venire in possesso delle informazioni riguardanti le compagini sociali.
Talune società, infatti, non hanno ancora proceduto alla trasmissione delle informazioni complete richieste dalla Commissione.
Ciò nondimeno lo scopo di questo lavoro, ad onta del tempo esiguo che abbiamo avuto a disposizione, resta ambizioso: fare un po’ di luce e mettere un po’ d’ordine in un campo complesso, articolato, dove la confusione sembra regnare sovrana, dal momento gli stessi Uffici regionali, istituzionalmente deputati all’esercizio delle funzioni di controllo, sembrano ignorare addirittura il numero preciso delle Società partecipate – direttamente o indirettamente - dalla Regione Campania.
Sono infatti pervenuti alla Commissione documenti, di provenienza istituzionale, contenenti dati contrastanti rispetto finanche al numero esatto delle Società partecipate dalla Regione.
Dall’elenco fornitoci dal Settore Affari Generali della Presidenza Servizio Controllo e Monitoraggio delle Partecipazioni della Regione Campania, per esempio, si rileva la partecipazione da parte della Regione in 35 organismi societari, mentre dalle successive comunicazioni ricevute dal coordinatore dell’A.G.C. Trasporto e Viabilità, nonché dall’Ersac e dall’Arpac, le partecipazioni della Regione risultano addirittura superare il numero di 50. Al contrario in una risposta scritta data al Consiglio regionale dall’assessore al bilancio e vicepresidente della Giunta regionale Antonio Valiante, a seguito di un question time presentato in data 23 settembre 2006 e riportato nell’appendice di questo dossier, si può leggere: “Alla data odierna risultano censite 31 società partecipate”.
L’assessore De Luca, che nella seduta del Consiglio regionale del 26-09-2006 rispondeva al suddetto question time al posto dell’assessore Valiante, aggiungeva verbalmente: “Si sottolinea che le partecipazioni della Regione Campania sono in numero di 31, le collegate in numero di 55, mentre 4 sono le partecipate delle partecipate”.
E la risposta scritta al question time a firma dello stesso Valiante, nel tentativo di ostentare una visione razionalizzante, ha cercato di occultare il caos primordiale della confusione dello stesso Esecutivo in merito, con un intervento che ostentava una visione organica della faccenda:
“Secondo l'art. 2359 del codice civile come reintrodotto dalla riforma civilistica – scriveva Valiante - viene definito il concetto di società controllata e collegata come segue:

% partecipazione            Categoria di partecipazione             Situazione Regione
Superiore al 50%             Società controllata                                           14
Tra il 20% e il 50%            Società collegata                                             5
Inferiore al 20%               Altre partecipazioni                                           12 
TOTALE PARTECIPAZIONI DIRETTE REGIONE CAMPANIA                       N°: 31

L'esame di queste tre categorie di partecipate dalla Regione mette in luce la necessità, come ampiamente voluta dalla Legge Regionale n° 24 del 29 dicembre 2005, di dover effettuare una valutazione dell'operatività di queste società tenendo conto dell’incidenza sul bilancio regionale, sulle attività a prevalente carattere sociale perseguite dalla Regione in quanto obiettivi strategici prestabiliti, sulle regole da dettare in talune Aree Generali di Coordinamento che decidono di affidare ‘in house’ o ‘outsounting’ attività a fronte delle quali sono assegnati dalla Regione consistenti contributi in conto gestione. Ciò comporterà, tenuto conto delle perdite realizzate e degli indici reddituali e patrimoniali analizzati, che molte di esse, vengono inglobate od incorporate in un unico organismo societario producendo risparmi sulle spese generali di gestione, specie per il funzionamento degli Organi e della tenuta delle contabilità. Per altre invece necessita ponderare l’alta propensione ad acquisire partecipazioni in altre società, acquisizioni che non sempre sembrano ispirate a valutazioni di economicità ed efficienza per cui, a giudizio di chi scrive, vanno dimesse le succitate partecipazioni delle nostre società in altre, anche in ossequio alle disposizioni dell’art. 13 del Dl 4 luglio 2006 n. 223 convertito in legge 4 agosto 2006 n. 248 – Decreto Bersani al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato.
Esse devono operare esclusivamente con gli enti costituenti e non con gli altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono esercitare ad altre società o enti. Tali società partecipate dalla Regione sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione di tali regole”.
Si tratta, pertanto, di un fenomeno i cui contorni non è possibile allo stato esattamente definire, ma che è comunque oggetto dell’attività di inchiesta che questa Commissione, con molta fatica, ha messo in campo e sta portando avanti e che sicuramente nei prossimi mesi produrrà risultati certamente meno nebulosi.
Tali circostanze, unitamente all’emersione, nel corso dell’attività di indagine finora espletata, di taluni aspetti rivelatori di situazioni patologiche, impongono alla Commissione di proseguire nella propria attività conoscitiva, in prima istanza per completare il lavoro svolto e, cosa di non minore rilevanza, per contribuire alla individuazione dei punti di crisi del sistema, perchè possano essere individuati gli strumenti e le iniziative più opportune affinché, in un settore risultato di fatto fuori da ogni controllo, possano trovare casa i così declamati principi di economicità e di buon andamento; principi che dovrebbero ispirare ed accompagnare ogni azione amministrativa della Regione Campania.
L’enorme confusione in merito, allora, è determinata principalmente dalla matassa delle società esistenti, che appare spesso come un intrigato armadio di contenitori, dove, non di rado, una società partecipata dalla Regione detiene quote di partecipazione in altre società, che a loro volta controllano o sono “collegate” o “partecipano” – per utilizzare la tipizzazione del codice civile - ad altre società e così via.
Inoltre non ci è mai giunto il dato relativo alle società che sono partecipate non direttamente dalla Regione ma da agenzie regionali, a parte una timida risposta dell’ass. Valiante a diversi mesi dall’inizio della nostra istruttoria e solo qualche giorno fa. Si tratta, in sostanza, di partecipazioni che potremmo definire “di secondo livello” e che, proprio in forza di questo, spesso rischiano di sfuggire alle azioni di monitoraggio.
Anche in questo caso, il lavoro istruttorio si è configurato come una vera e propria indagine alla Serlock Holmes. Abbiamo seguito piste, trovato agganci e svolto vere e proprie indagini, per elaborare un diagramma delle partecipazioni delle partecipazioni, che facesse da vera e propria mappa in un universo poco intelligibile.
Un primo dato, comunque, che è emerso in questo lavoro è, ad un primo bilancio, del tutto singolare: su 37 società nelle quali la Regione Campania detiene una partecipazione e che questa Commissione ha censito, 33 risultano costituite nell’arco temporale che va dall’anno 2001 all’anno 2006. Si tratta, per chi non avesse ancora attribuito al dato alcuna relazione causa-effetto, del frangente temporale nel quale ha operato ed opera l’Amministrazione “Bassolino”, frangente che ha registrato una notevole proliferazione delle partecipazioni della Regione Campania in società di capitali, con una media di circa 6 partecipazioni all’anno negli ultimi cinque anni.
E sebbene il dato possa agevolmente essere letto nello sfondo di una precisa matrice politica, il fenomeno delle Società miste presenta diverse sfaccettature, meritevoli di essere approfondite nel prosieguo dell’attività di indagine della Commissione.
Sarà in particolare necessario, ad esempio, verificare il senso e l’utilità di partecipazioni con quote irrilevanti del capitale sociale, inadeguate a consentire l’esercizio di un effettivo potere di controllo.
La Regione, infatti, detiene in almeno 7 società partecipate, una quota capitale inferiore al 10% e non si riesce a comprendere, con tutta la buona volontà, l’utilità pubblica perseguita in queste partecipazioni.
   Il fenomeno delle società miste, inoltre, è di indubbia rilevanza anche in considerazione della notevole cifra spesa dalla Regione per acquisizioni di partecipazioni societarie, che supera tranquillamente i 100 milioni di euro.
Tale valore assume maggiore peso se si considera che per tali partecipazioni si devono oggi rilevare perdite che, come affermavamo sopra, superano abbondantemente i 30 milioni di Euro.
Tutto ciò viene percepito come cosa ancora più grave se si prende atto che nei soli anni 2004-2005 la Regione ha speso, in contributi e/o trasferimenti di varia natura, oltre 20 milioni di euro.
Anche i dati occupazionali sono di prima grandezza, considerato che sono oltre cinquemila i dipendenti complessivi delle 37 Società esaminate. E tanto per incominciare a sviscerare qualche dato che enucleeremo più compiutamente in seguito, complessivamente, delle 37 società censite, solo 2 risultano assumere personale per concorsi pubblici e su quasi 6000 dipendenti, solo 426 sono stati assunti per concorso pubblico.
Eppure alla rilevanza economica e occupazionale del fenomeno non ha però, a nostro avviso, fatto riscontro una adeguata oculatezza gestionale.
Come si è già avuto modo di precisare, infatti, non pare esistere all’interno dell’intero apparato burocratico regionale un ufficio che abbia la contezza precisa del numero, della natura, dell’attività e dei risultati gestionali delle società partecipate dalla Regione Campania.
Dall’indagine effettuata è inoltre emerso che in molti casi dopo la costituzione delle Società – o comunque l’adesione alle stesse -, la Regione non ha proceduto neanche alla stipula di una convenzione con le Società medesime.
Tali Società restavano pertanto, dopo la costituzione, sostanzialmente abbandonate a loro stesse, in assenza di indirizzi puntuali circa le azioni da porre in essere per il raggiungimento degli obiettivi strategici che avevano ispirato (o avrebbero dovuto ispirare) la loro costituzione.
Nello stesso modo, non sono stati rinvenuti – sebbene richiesti – atti deliberativi con i quali la Regione Campania abbia fornito direttive e/o indirizzi agli amministratori delle Società partecipate dopo la costituzione e/o l’adesione.
Tale omissione, censurabile in linea generale per il mancato esercizio di prerogative dell’Ente che si fa garante degli interessi della collettività regionale, ha integrato in alcuni casi una vera e propria violazione di norme imperative.
Va rilevato, in proposito, che a norma dell’art. 9 comma 1 del D.L.  168/2004, convertito in legge n. 191/2004, le Pubbliche Amministrazioni “nell’esercizio dei diritti dell’azionista nei confronti delle società di capitali a totale partecipazione pubblica” sono tenute ad adottare le opportune direttive per conformarsi ai principi di economicità e buon andamento stabiliti dalla stessa disposizione.
La norma si propone di estendere anche alle società partecipate da Pubbliche Amministrazioni le prescrizioni  fissate per queste ultime al fine di limitare la spesa per incarichi di consulenza a soggetti esterni.
Nel caso in esame, nessuna delle società interpellate ha dichiarato di aver ricevuto direttive in tal senso dalla Regione Campania, anche quando la stessa deteneva la totalità del capitale sociale.
Le conseguenze dell’omissione rilevata – la cui quantificazione sarà possibile all’esito dell’ulteriore attività di istruttoria in corso di svolgimento -, sono allo stato solo astrattamente ipotizzabili, considerata l’elevata spesa in consulenze che distingue la stragrande maggioranza delle società esaminate.
Non crediamo allora, per cominciare a tirare le somme, che la Regione si sia adoperata a sufficienza per perseguire gli obiettivi statali di contenimento della spesa pubblica attraverso processi di razionalizzazione e semplificazione delle gestioni operate. Occorrerebbe, nell’immediato, intervenire energicamente a fornire un valido processo di armonizzazione del bilancio regionale con gli altri bilanci pubblici (Dlgs 170/2006) ai fini di una seria programmazione economico finanziaria con le effettive risorse reperibili e contenendo la spesa a quella indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Tra l’altro la legge regionale 24/2005 all'art. 1 stabilisce che l' assessore regionale al Bilancio, sulla base di una organica verifica di tutte le società a partecipazione regionale ovvero a partecipazione di enti pubblici regionali, propone alla Giunta regionale la messa in liquidazione ovvero processi di fusione di tutte le società il cui conto economico sia in passivo da almeno due esercizi nonché di quelle ritenute infruttuose.
E le società a partecipazione regionale che possiamo considerare infruttuose o il cui conto economico possa essere considerato in passivo da più di due esercizi, non sono assolutamente poche.
Eppure, ad oggi, né sono state messe in liquidazione, né ci risulta, sia stata accesa alcuna procedura di fusione.
Solo per andare un po’ più nel dettaglio,  queste società a partecipazione regionale, nate per la necessità di raggiungere, nei settori in cui tale obiettivo è possibile, la copertura dei costi nello svolgimento delle attività assegnate, hanno totalizzato in soli due anni perdite che superano i 23 milioni di euro, quasi cinquanta miliardi di vecchie lire. Ed il dato è tranquillamente rilevabile sommando le perdite di tutte le società, delle quali abbiamo riportato i dati salienti nel corpo di questo dossier.
Tutto questo nonostante il cospicuo investimento in partecipazioni da parte della Regione Campania, che dal solo 2001 ad oggi è stato pari a €  80.786.828,27, che per sole 7 società la Regione ha direttamente erogato, nei soli anni 2004 - 2005, contributi pari a 20.153.405,00 di euro, e che – repetita juvant - l’investimento totale supera tranquillamente i duecento miliardi delle vecchie lire.
Che dire? Quale valutazione possiamo esprimere se non che in Campania l’obbiettivo crediamo non sia stato assolutamente raggiunto e che ci troviamo di fronte ad un fenomeno che è stato economicamente gestito in maniera catastrofica e che la catastroficità della gestione afferisce giocoforza anche, anzi soprattutto, la sfera politica?
Sulla natura e sulla utilità pragmatica di tali società, invece, a lungo si è discusso e tuttora si discute, sia in ambito regionale che nazionale, soprattutto in merito al regime giuridico nel quale queste operano, in relazione alle modalità di costituzione ed ai meccanismi utilizzati per l’affidamento del servizio.
Al riguardo, soprattutto sotto il piano squisitamente dottrinale, si registra un acceso dibattito tra quanti ritengono che tali società afferiscano interamente alla natura privatistica e siano sottoposte, pertanto, alla disciplina delle società commerciali, e quanti ne sottolineano il carattere ‘speciale’, argomentando che del carattere di “società”, queste posseggano ben poco in quanto trattasi di strutture organicamente collegate agli enti territoriali, che vantano in esse partecipazioni e, di questi, siano carrozzoni clientelari utili esclusivamente a gestire, in alcuni casi, posizioni lavorative non molto produttive, ed in altri, addirittura, a giustificare esclusivamente gli organi gestionali delle società.
Il conflitto tra le opposte letture produce inevitabili divergenze anche in merito alle modalità di costituzione delle società stesse. I sostenitori della tesi che in precedenza abbiamo definito ‘privatistica’ si orientano, infatti, per la piena libertà di scelta degli azionisti privati da parte della Regione, o più in generale dell’ente locale. Coloro, invece, che propendono per un approccio che potremmo definire ‘pubblicistico’, sulla scorta di quanto statuito dal Consiglio di Stato in sede consultiva (1-2-1995) e dall’esplicito dettato offerto dalla Legge 498/92 e del Decr. Leg.vo 26/95, affermano che la scelta dei soci privati debba essere effettuata seguendo le procedure dell’evidenza pubblica.
La ratio di questo orientamento, che prevede una adeguata verifica dell’affidabilità tecnico-finanziaria, vuole che la scelta dei partners, proprio nel nome della tutela dell’interesse pubblico, non possa non essere finalizzata alla selezione di quelli che offrono maggiore fiducia agli enti locali.
Questo il motivo principale che non può non spingere la regione Campania, in virtù della necessità di un controllo sistematico e più incisivo, chiaramente nel rispetto dell'autonomia gestionale dettata dal Codice Civile a tutela dell'interesse pubblico, verso un orientamento pragmatico che preveda la stipula di un Contratto di servizio generalizzato per tutte le società partecipate, che contempli, peraltro, la periodica verifica del “business plan” a carattere pluriennale sottoposto alla Regione e che contenga la traduzione in azione delle direttive e degli obiettivi perseguiti attraverso la costituzione delle società.
La mancanza di forme adeguate di controllo sulle società partecipate dalla Regione Campania ha peraltro indotto, in alcuni casi, alla creazione di organismi con attività sovrapponibile a quella svolta da agenzie e/o altre società operanti all’interno dell’apparato regionale.
È il caso, a esempio, della società C.C.T.A. S.c.a r.l., i cui rappresentanti hanno dichiarato, nel corso dell’audizione agli stessi riservata, che l’attività della società è in parte sovrapponibile a quella dell’A.R.P.A.C., socio della stessa e a sua volta Ente strumentale della Regione Campania.
Il caso della C.C.T.A. S.c.ar.l. è emblematico di una generale disattenzione che ha caratterizzato l’atteggiamento della Regione nei confronti delle sue partecipate.
Gli stessi rappresentanti della società hanno infatti dichiarato che, nonostante il rapporto di controllo, la Regione Campania non ha mai conferito alcun incarico alla società medesima, preferendo, per le attività rientranti nel suo oggetto sociale, procedere ad affidamenti mediante contratti di appalti stipulati con terzi.
Per quanto concerne, invece, l’affidamento del servizio, si registra una minore eterogeneità di posizioni. Risulta infatti dominante e quasi universalmente condivisa la posizione che non ritiene indispensabile la necessità di uno specifico provvedimento di ‘concessione’, anche sulla scorta del dettato del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
La predetta disposizione consente, infatti, sia l'affidamento diretto a società a capitale misto pubblico-privato nella quale il socio privato viene scelto attraverso gara, sia l'affidamento diretto a società a capitale interamente pubblico controllata dall'ente locale proprietario, secondo il modello di gestione cosiddetto in house.
Nell'affidamento diretto di un servizio pubblico locale ad una società mista, infatti, è con l'atto di costituzione della società che l’ente locale manifesta l’opzione di tale modulo gestorio, mentre l'assegnazione della gestione del servizio è atto meramente consequenziale (Consiglio di Stato, sez. 5a, n. 3864 del 30 giugno 2003).
Intanto un elemento non può non essere sottolineato: ai fini dell’affidamento diretto di servizi pubblici locali ad una società a prevalente capitale pubblico, cosiddetta “mista”, ai sensi della sentenza del Consiglio di Stato, sez. 5a, n. 3576 del 28 giugno 2002, questa deve avere come oggetto sociale l’esercizio di siffatte attività.
E' allora ancora di fatto legittimo l'affidamento diretto di un servizio pubblico locale ad una società mista. Eppure, e nell’economia del nostro discorso questa questione potrebbe configurarsi come ‘elemento chiave’: l’affidamento diretto potrebbe vestire i panni della legittimità a condizione che l'ente locale eserciti sulla società medesima del servizio un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli enti locali che la controllano (Cfr. la circolare n.12727 del 19.10.2001 della Presidenza del Consiglio dei Ministri e il decreto del Ministero dell'Ambiente del 22.11.2001).
Per corroborare questa posizione si è più volte espressa in merito la Corte Europea, affermando che l'attività di affidamento “in house” di alcuni servizi, debba assumere natura di eccezionalità e possa essere ammesso soltanto nel caso che l’Ente affidatario eserciti sulla società prescelta, come affermavamo sopra, un "controllo analogo” a quello svolto sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano”. Si tratta, in sostanza, del cosiddetto affidamento in house providing. Recentemente si è espresso in tal senso il Consiglio di Stato - quinta sezione – con sentenza 5072/06 che ha precisato che l'affidamento diretto in house providing senza tali controlli è da considerare illegittimo per contrasto con i principi comunitari desumibili dalla sentenza della Corte di Giustizia 13 ottobre 2005, nella causa C-458/O3 (Parking Brixen GmbH). Con la pronuncia "Parking Brixen” la Corte comunitaria ha condotto un ulteriore approfondimento sul tema relativo all'affidamento diretto di pubblici servizi – in particolare, per ciò che attiene al “controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi” da parte degli enti pubblici titolari del capitale sociale – pervenendo ad una più puntuale individuazione dei caratteri del controllo che l’ente deve poter esercitare sulla società affidataria del servizio pubblico. In primo luogo, il possesso dell’intero capitale sociale da parte dell’ente pubblico, pur astrattamente idoneo a garantire il servizio analogo a quello esercitato sui servizi interni, perde tale qualità se lo statuto della società consente che una quota di esso, anche minoritaria, possa essere alienata a terzi sia pure a mezzo gara ad evidenza pubblica. In secondo luogo i poteri attribuiti alla maggioranza dei soci dal diritto societario non sono sufficienti a consentire all'ente di esercitare un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi.
Tutto questo fino alla recentissima “Legge Bersani” (Decreto Legge presentato dai ministri Lanzillotta e Bersani e dal presidente del consiglio Prodi in data 4 luglio 2006 n. 223 convertito in Legge 4 agosto 2006 n. 248), che impone finalmente in modo chiaro ed univoco alle società di cessare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, le attività non consentite. A tale fine possono cedere, nel rispetto delle procedure ad  evidenza pubblica, le attività non consentite a terzi o scorporarle, anche costituendo una separata società da collocare sul mercato, secondo le procedure stabilite dal decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, entro ulteriori diciotto mesi. I contratti relativi alle attività non cedute o scorporate perdono efficacia alla scadenza dei dodici mesi mentre quelli conclusi, dopo la richiamata legge e in violazione delle precisate prescrizioni sono nulli.
Il decreto Bersani, infatti, ha previsto, all'art. 13 (al fine di “evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori”), che le SpA a capitale interamente pubblico o misto, “costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti”, dovranno operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, e non potranno più svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, in affidamento diretto o con gara, né potranno partecipare ad altre società o enti.
A tal fine e, per la precisione, entro agosto 2007 dovranno cessare le attività non consentite, cedendo, "nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica", tali attività a terzi ovvero scorporarle, anche costituendo una separata società da collocare sul mercato, come affermavamo sopra.
I contratti relativi alle attività non cedute o scorporate perderanno ipso iure efficacia, dal prossimo agosto 2007.
Inoltre i contratti conclusi in deroga sono da considerare d’ora innanzi da ritenere “nulli”; è tuttavia ancora possibile concludere contratti per attività “esterne”, “in esito a procedure di aggiudicazione perfezionate prima” dell'entrata in vigore del decreto Bersani.
In tal senso le AGC devono urgentemente intervenire nelle attività delle società laddove queste, presentino acquisizioni di partecipazioni in altre società non rispondenti alla legge, agli indirizzi strategici delineati dal consiglio Regionale, né perseguano performance di efficacia, efficienza ed economicità dell'attività di gestione.
Ai sensi della recente legge, inoltre, e per il futuro, crediamo debba essere sottolineato in maniera cogente il divieto, per le società regionali, sorte per soddisfare gli indirizzi strategici della Regione attraverso l'erogazione diretta di servizi, di acquisire partecipazioni in altre società, se non previa espressa autorizzazione dalla Giunta Regionale.
E gli uffici preposti non possono non vigilare in merito. Soprattutto il monitoraggio sistematico andrà a verificare che l’operare delle società partecipate dalla Regione venga svolto esclusivamente con l’Ente Regione, e che non sussistano più prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, in affidamento diretto o con gara, né partecipazioni ad altre società o enti.
In barba alla recentissima Legge e ad un orientamento dottrinale e deontologico già orientato in tale direzione, c’è un dato che impone una riflessione, in quanto rivelatore di un fattore che nel delicato sistema economico soprattutto regionale, ha prodotto e produce scompenso e fibrillazione: la reale possibilità, per almeno 10 delle società esaminate, di partecipare a gare bandite da Pubbliche Amministrazioni.
In molti casi, infatti, gli amministratori delle società esaminate hanno dichiarato che sussiste la possibilità, per le società amministrate, di partecipare a gare bandite da altre Pubbliche Amministrazioni.
La provenienza pubblica del denaro gestito e l’inesistenza di criteri di economicità nella gestione delle risorse assegnate, fanno infatti della possibilità di partecipare a gare d’appalto un fattore distorsivo dell’economia locale e delle regole del libero mercato.
Attraverso il riconoscimento della possibilità di partecipare a gare bandite da Pubbliche Amministrazioni si consente infatti a organismi societari magari anche in situazione di pesante deficit - ma sovvenzionati con denaro pubblico - di fare concorrenza a soggetti privati, impossibilitati per l’assoggettamento alle regole dell’utile di impresa a offrire i medesimi prezzi formulati dalle società partecipate.
Emblematica è la posizione della T.E.S.S. S.p.a. che, ancorché partecipata dalla Regione Campania, ha riconosciuto di aver concorso in almeno 40 casi all’affidamento di appalti da parte della Regione Campania.
Caso limite è quello della Film Commission S.c.ar.l., che ha raccolto, nei soli anni 2004 – 2005, contributi regionali per un milione di Euro, e che è tranquillamente legittimata a concorrere per l’affidamento di appalti pubblici con ditte che al contrario debbono sostenersi unicamente con i ricavi dell’attività imprenditoriale.
Altro aspetto immediatamente rilevabile è quello della inesistenza, in molti casi, di una reale utilità dello strumento societario rispetto alle finalità evincibili dall’oggetto sociale.
In alcuni casi, come a esempio in quello della Film Commission S.c.a r.l. (che dovrebbe occuparsi della promozione del territorio regionale per location cinematografiche), sono invero difficilmente rilevabili le ragioni di pubblico interesse sottese alla scelta di acquisire partecipazioni azionarie da parte della Regione Campania.
In altri casi, appare incongruo lo stesso strumento societario.
La Regione ha infatti scelto, in diversi casi, di partecipare a società il cui oggetto sociale rende impossibile il perseguimento di un effettivo autosostentamento.
Non si comprende pertanto, rispetto a tali società, quale sia l’utilità della forma societaria, e per quale motivo non sia stato stabilito di affidare a strutture burocratiche interne il perseguimento dei compiti assegnati.
La scelta del modulo societario appare, nei casi considerati, espressione della volontà di allontanare la gestione di poste patrimoniali, anche consistenti, dai centri decisionali istituzionali, piuttosto che quello di adottare un modello gestionale adeguato.
Non va omesso di considerare, in proposito, che nella maggior parte dei casi la partecipazione della Regione in organismi societari non è stata preceduta da alcuna deliberazione dell’organo consiliare.
Se si somma questo dato con l’altro, già evidenziato, dell’inesistenza di attività di indirizzo e/o di controllo da parte delle strutture regionali anche burocratiche, si ha un quadro sufficientemente definito di un assetto organizzativo volto a svuotare delle prerogative assegnate dalla legge i centri deputati all’assunzione delle decisioni politiche.
È significativo, in proposito, il caso dell’Ente autonomo del Volturno S.r.l., in cui una sola persona (l’amministratore unico della società) decide le sorti dell’intero sistema dei trasporti pubblici in Campania, i cui principali operatori sono controllati al 100% dalla società in parola.
Nel caso dei trasporti pubblici, gli organi politici risultano pertanto esautorati delle prerogative istituzionali, essendo le scelte strategiche e operative affidate a un soggetto sul quale la Regione non effettua un controllo pregnante.
Nel corso dell’indagine fin qui svolta, la Commissione ha potuto rilevare numerosi effetti distorsivi del proliferare delle partecipazioni regionali in organismi societari.
Va infatti rilevato che tali società, ancorché nella stragrande maggioranza dei casi controllate interamente da Enti Pubblici e finanziate con denaro pubblico, non vengono ritenute essere assoggettate all’obbligo di seguire forme di evidenza pubblica per la selezione del personale.
Per tale motivo, le società esaminate, spesso e volentieri, procedono all’assunzione del personale secondo modalità che difettano assolutamente di trasparenza.
Va evidenziato, in proposito, che in molti casi gli amministratori interpellati hanno dichiarato di procedere alle assunzioni “sulla base di conoscenza diretta”, ovvero ancora “sulla base dei curricula dei candidati”, dunque senza neanche pubblicare un avviso che avverta i giovani interessati della possibilità di concorrere per l’assunzione in una società pubblica o comunque partecipata da Pubbliche Amministrazioni.
Gli effetti distorsivi di tale situazione emergono all’evidenza, considerata la rilevanza del fenomeno delle società pubbliche anche sotto il profilo occupazionale (si rammenti che il numero degli addetti supera le cinquemila unità) e considerati gli alti livelli raggiunti dalla disoccupazione in Campania.
Si  tratta di una situazione di estrema gravità, considerata la provenienza comunque pubblica del denaro gestito dalle società partecipate, e considerata l’attinenza al pubblico interesse dell’attività svolta.
La stessa Corte Costituzionale, intervenuta di recente a pronunciarsi sulla legittimità di una legge regionale che aveva previsto l’obbligo per le società partecipate da Enti Pubblici di bandire concorsi pubblici per procedere all’assunzione di personale, ha riconosciuto che l’obbligatorietà delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale anche nella società pubbliche “discende dai principi buon andamento e di trasparenza di cui all’art. 97 della Costituzione” (C.Cost., Sent. 1/2/2006, n. 29).
Tale situazione raggiunge poi livelli intollerabili in quei casi - pure riscontrati nell’attività di indagine svolta dalla Commissione -, in cui i dipendenti assunti – senza concorso - dalle società partecipate vengono successivamente distaccati presso l’Ente Regionale.
È il caso, a esempio, della S.M.A. Campania S.p.a., che presenta 12 unità di personale distaccate presso la Regione Campania.
Di questi, numerosi sono quelli distaccati presso gruppi politici e/o segreterie particolari di singoli consiglieri.
La Commissione ha potuto rilevare che ben tre di tali dipendenti sono stati distaccati presso la segreteria di un solo Consigliere Regionale dell’attuale maggioranza.
Tali situazioni, censurabili sotto il profilo del buon andamento dell’azione amministrativa oltre che della parità di trattamento da garantire a tutti i cittadini, appaiono comunque contrastanti con la normativa vigente.
In un recente parere, il Dipartimento della Funzione Pubblica ha infatti chiarito che a norma dell’art. 30 del D.Lgs. n. 165/2001 è vietata la mobilità di personale da una società partecipata a un Ente locale (Parere 22/09/2006 n. 6).
Ulteriore fattore degenerativo del sistema risiede nella circostanza che alcune di queste società violano sistematicamente le regole dell’evidenza pubblica nella scelta del contraente privato per l’affidamento di appalti di lavori, opere e servizi.
E’ il caso, a esempio, della Film Commission S.c.a.r.l., della IMAST S.c.a r.l., della TESS S.p.a., della PST S.c.p.a..
I legali rappresentanti di tali società hanno dichiarato di non seguire, per l’affidamento di appalti, le regole dell’evidenza pubblica.
L’esclusione di procedure di gara induce inoltre a ritenere che le stesse società non abbiano fatto applicazione, nella stipula dei contratti di appalto, delle disposizioni della normativa antimafia.
Nel prosieguo dell’attività di indagine, la Commissione intende formulare alle società esaminate esplicito quesito sull’argomento, considerata la rilevanza in Campania del fenomeno delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici.
Il quadro di estrema sintesi riportato rappresenta una situazione estremamente critica delle società partecipate dalla Regione Campania.
Tale situazione richiede un intervento urgente degli organi politici della Regione.
L’attività finora posta in essere si è rivelata, a nostro avviso, del tutto inadeguata, non avendo consentito finanche la predisposizione di linee guida utili a ricondurre l’attività delle società partecipate dalla Regione nell’alveo comune del perseguimento del pubblico interesse.
Gli interventi richiesti, anche di natura legislativa, dovranno avere l’obiettivo di contenere il fenomeno entro ambiti di tollerabilità, garantendo che la scelta della forma societaria risponda a effettive esigenze sottese alla necessità – e alla possibilità - di raggiungere l’autosostentamento dei soggetti gestori di taluni tipi di servizi.
Occorre inoltre che la relativa scelta di costituire una società – ovvero di aderire a una già costituita – sia previamente sottoposta al controllo del Consiglio Regionale, affinché tale organo - deputato a deliberare gli indirizzi politici della Regione - ne valuti la congruenza con le finalità di pubblico interesse perseguite dall’Ente.
Non va inoltre tralasciato di considerare che a seguito della entrata in vigore del D.L. 223/2006 già citato sopra, convertito con modifiche con la legge n. 248/2006,  è vietato alle società pubbliche e alle miste la stipula di contratti con amministrazioni diverse da quelle partecipanti, oltre che la detenzione di partecipazioni azionarie in altre società.
La novella legislativa, che introduce nel settore principi già affermati nell’ordinamento comunitario rende ancor più urgente una profonda rimeditazione dell’intero assetto del settore delle società partecipate dall’Ente pubblico.
La necessità di uniformare gli statuti e le azioni delle società partecipate dalla Regione ai principi dettati dalle nuove norme sarà infatti una felice occasione di mettere mano a una riforma organica del settore.
Del resto, la stessa finanziaria regionale del 2006 (L.R.C. n. 24/2005) impone – come abbiamo affermato in precedenza - la liquidazione delle società in perdita e di quelle inutili.
L’attività conoscitiva condotta dall’assessore al Bilancio della Regione formerà oggetto di apposite indagini da parte della Commissione, che ha in animo di invitarlo per una specifica audizione.
In ogni caso, è auspicabile che la Giunta non si limiti a interventi sui singoli casi, circoscritti alla stretta applicazione della legge finanziaria, ma proponga interventi strutturali del sistema, utili a rimuoverne i numerosi fattori di crisi, alcuni dei quali, con questo breve quadro introduttivo, ci siamo sforzati di ravvisare.

 

2. CAPITOLO I
La società mista: natura ed evoluzione storica


CAPITOLO I
2.1 I primordi della questione: la crisi del servizio pubblico locale

Il nuovo orientamento del diritto pubblico dell’economia, inaugurato sullo scorcio del secolo scorso, ha delle ragioni profonde ed è innestato su un preciso orientamento dottrinale. Per questo crediamo opportuno un brevissimo excursus storico, strumentale ad una più proficua comprensione sulla natura e sulle funzioni del servizio pubblico locale.


2.2 I servizi pubblici municipalizzati.
Nei primi anni del 1900 emersero, prepotenti, nuovi bisogni della collettività locale a seguito di un processo che stravolse profondamente l’assetto di una società che, basata prevalentemente su attività di tipo primario si trasformava sempre più velocemente in un sistema economico a base industriale. Tutto questo comportò lo spostamento di una massa consistente di persone dalle campagne alle città; fenomeno meglio conosciuto come ‘urbanizzazione’. Per far fronte ai nuovi bisogni emergenti intervenne, in maniera sistematica, una Legge dell’allora Ministro Giolitti che municipalizzando i servizi pubblici, dava attuazione ad un filone dottrinale, che teorizzava la scarsa sensibilità dei privati rispetto all’interesse della collettività, nell’alveo di un principio, in seguito ampiamente recepito dalla Costituzione repubblicana, detto di ‘sussidiarietà’. I comuni, allora, divenivano gestori diretti dei servizi o attraverso le ‘aziende speciali’ organismi di fatto separati dall’ente pubblico e dotati di una certa forma di autonomia (amministrativa e contabile), ma non di personalità giuridica,  o attraverso la gestione “diretta”, “in economia”, per i servizi di entità più modesta. Con l’azienda speciale, intanto, si perseguiva la completa funzionalizzazione al perseguimento degli interessi pubblici dell’ente locale. Era prevista, altresì, la concessione all’industria privata, unica chance, per quest’ultima, di partecipare al servizio pubblico locale, seppure in un contesto di natura pubblicistica, che inseriva di fatto il gestore nell’organizzazione amministrativa.
E’ da registrare, inoltre, in questi anni, la possibilità per i comuni di costituire consorzi per assumere direttamente l’esercizio dei servizi di interesse comune (fognature, tramvie, acquedotti, illuminazione, reti telefoniche, di sistemi di nettezza pubblica, ecc.).


2.3 Il Testo Unico del 1925
Finalmente, nel 1925, si addiviene ad una generale razionalizzazione della materia con il Testo Unico 2578, che riordina la Legge 103 del 1903 (Giolitti) e le norme successive. Eppure nel Testo Unico non si prevede la forma della società per azioni.
In quegli anni la crisi economica internazionale del 1929 influì profondamente sulle iniziative del governo, in particolare sulla gestione dei settori produttivi e delle istituzioni finanziarie. Si delinearono quindi una ulteriore accentuazione del carattere autoritario e “integralista” del regime fascista e una progressiva intensificazione del carattere “interventista” dello Stato in materia economica.
Per questo motivo la legislazione nazionale iniziò a provvedere alla nazionalizzazione di diversi settori, in misura maggiore laddove il sistema delle economie di scala rendeva preferibile una tale gestione del servizio, fino alla più famosa, risalente al 1962, con la nazionalizzazione delle aziende elettriche e la conseguente fondazione dell'ENEL.
Ulteriore ragione di questo iter, intrapreso nel ventennio e nel primo e secondo dopoguerra, fu la difficoltà relativa alla gestione di reti di servizi pubblici, e a maggior ragione laddove era esatta notevole capacità economico-manageriale.


2.4 La crisi del servizio pubblico locale.
Questa concezione di Stato, “interventista” che si fa garante delle politiche di protezione sociale, comincerà ad entrare in crisi all’inizio degli anni settanta, quando lo Stato constaterà l’impossibilità di garantire tutti i principali servizi pubblici, se non a discapito dell’economicità e dell’efficienza degli stessi. Per ovviare a questa fase di crisi dello Stato -“pesante”  si cerca, quindi, un allargamento, verso il basso delle responsabilità collettive in materia di produzione di servizi sociali a tutti quei soggetti che operino, insieme allo Stato, sul piano della soddisfazione dei bisogni della collettività.
Prende così corpo la tesi del welfare mix: un sistema di interazione e coordinamento tra Stato e mercato, orientato alla produzione di servizi sociali. In questa fase fa capolino, per quanto concerne le pubbliche amministrazioni, il fenomeno della “privatizzazione” ed “aziendalizzazione” (trasformazione di enti pubblici in aziende per garantire una gestione più efficace ed efficiente).
Nel frattempo Margaret Thatcher e Ronald Reagan, alla guida di Gran Bretagna e Stati Uniti per tutti gli anni '80, capitanarono l'aggressione allo stato sociale. Il cittadino deve “farcela da solo”, lo stato deve semplicemente intervenire poco o nulla nell’economia e questa deve essere semplicemente “liberata”. Tutto questo si è tradotto, anche in Italia, in una sistematica azione di privatizzazione (ferrovie, acqua, luce, gas, acciaio; in parte anche sanità e scuola).
Prevale, a questo punto, un orientamento aziendalistico della Pubblica Amministrazione orientata, a questo punto, fondamentalmente verso il raggiungimento del risultato, vero obiettivo dell’intero funzionamento della macchina amministrativa.
E le aziende speciali, sulle quali si fondava il servizio pubblico, vengono via via sempre più percepite come strumenti inefficaci, limitate, utili a nient’altro che ad aggravare i bilanci degli enti locali o soggette ad ingerenze di tipo politico in virtù dello stretto legame con l’ente pubblico. Si fa luce, allora, sempre più un diverso modello di gestione dei servizi pubblici locali: la società a partecipazione mista.

 

2.5. La  legge 142/90
Si delineava quindi, la necessità, di una scelta netta, di passaggio dalla società speciale di diritto pubblico allo strumento societario di diritto comune, come la società di capitali. In prima istanza perché ciò avrebbe permesso di avvalersi di forme di gestione imprenditoriale che facessero della economicità, della efficacia e della efficienza il leit-motiv della gestione dei servizi; non da meno allettava la possibilità del ricorso a capitali di rischio privati, limitando in questo modo la spesa pubblica e risanando il debito.
A compiere una scelta decisa in favore della possibilità per gli enti pubblici territoriali di esercitare il servizio pubblico tramite una società per azioni è la legge 142 dell’8 giugno 1990 che, all’art. 22 recita: “I comuni e le province, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali. I servizi riservati in via esclusiva ai comuni e alle province sono stabiliti dalla legge. I comuni e le province possono gestire i servizi pubblici nelle seguenti forme: […] e) a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, qualora si renda opportuna, in relazione alla natura del servizio da erogare, la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati”.

 

2.6. L’evoluzione normativa fino ad oggi.
Le società miste rappresentano allora un fatto nuovo, introdotte nell’ordinamento degli enti locali dall’art. 22 della Legge 8 giugno 1990, n. 142, nell’ambito delle diverse modalità di gestione dei servizi pubblici locali, che ha orientato l’evoluzione normativa nella direzione di un ricorso sempre più deciso a modelli privatistici, nonostante, in qualche modo, fosse già riconosciuto agli Enti Locali una capacità negoziale di diritto comune e il diritto di partecipare a società di capitali insieme a partners privati.
Queste società, immaginate da questa legge, avrebbero risposto meglio all’esigenza di separare la responsabilità dell’ente locale da quella connessa alla gestione del servizio e sono caratterizzate da maggiore flessibilità rispetto alle altre forme di gestione dei servizi pubblici.
 “I comuni e le province, nell’ambito delle rispettive competenze – recita il comma 1 dell’art. 22 della Legge n. 142 del 1990 - provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto la produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”. La titolarità del servizio è stata allora attribuita all’ente locale, il quale provvede alla sua gestione attraverso cinque modalità, statuite dallo stesso comma 3 dell’art. 22:
in economia,
in concessione a terzi,
a mezzo di azienda speciale,
a mezzo di istituzione,
“a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, qualora sia opportuna, in relazione alla natura del servizio da erogare, la partecipazione di più soggetti pubblici o privati”(lett. e).
La società mista era, dunque, uno “strumento” concreto di gestione dei servizi pubblici locali da parte dell’ente, finalmente previsto da questa Legge del 1990.
Solo due anni dopo l’art. 12 della Legge 23 dicembre 1992, n. 498 ha previsto l’istituto della società per azioni mista abrogando il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria. Per questo tipo di società, però, è stato previsto l’obbligo della procedura concorsuale dell’evidenza pubblica per la scelta dei soci privati in sede di costituzione della società.
L’art. 22, comma 3, lett. e), della l. n. 142/1990 è stato successivamente modificato dall’art. 17, comma 58, della Legge 15 maggio 1997, n. 127, che ha operato una estensione della tipologia di società miste, contemplando la possibilità di “società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale, costituite o partecipate dall’ente titolare del pubblico servizio, qualora sia opportuna, in relazione alla natura o all’ambito territoriale del servizio, la partecipazione di più soggetti pubblici o privati”. Non solo, quindi, possibilità di creare società per azioni, ma anche società a responsabilità limitata; e non solo società costituite dall’ente locale, ma anche possibilità concreta di partecipare a società già esistenti con l’acquisto di quote di capitale.
Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 267/2000 (“Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali”, che ha di fatto abrogato la Legge n. 142/1990, sostituendola), la disciplina sulla gestione dei servizi pubblici locali è stata trasfusa negli artt. 113 e seguenti, che hanno recepito gli interventi normativi succedutisi negli anni precedenti. In particolare, l’art. 113 riprende l’elenco delle forme di gestione previste dall’art. 22 della l. n. 142/1990, e aggiunge, alla lett. f), anche le società per azioni senza il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria, introdotte dalla Legge n. 498/1992. Questa forma di società mista è disciplinata, nello specifico, dall’art. 116 del d.lgs. n. 267/2000, che prevede espressamente le procedure dell’evidenza pubblica per la scelta dei soci privati.
L’art. 35 della l. n. 448/2001 ha riscritto la disciplina dei servizi pubblici locali, innovando profondamente la normativa precedente. Il legislatore ha modificato l’art. 113 del d.lgs. n. 267/2000 e introdotto l’art. 113-bis.
Si fa netta distinzione fra servizi pubblici di rilevanza industriale (art. 113) e servizi pubblici privi di rilevanza industriale (art. 113-bis. Si rimanda poi ad un successivo regolamento governativo per l’esecuzione e l’attuazione dell’art. 35 della l. n. 448/2001 e per l’individuazione dei servizi pubblici locali di rilevanza industriale (art. 35, comma 16, della l. n. 448/2001).
Per questi ultimi il legislatore ha distinto fra proprietà delle reti, gestione delle reti e affidamento del servizio. Si tratta di aspetti che sostanzialmente sono disciplinati diversamente.
Con riferimento alla proprietà delle reti, la titolarità del diritto può essere in capo all’ente locale o ad altri soggetti.
Nel caso in cui il proprietario sia l’ente locale, la norma sempre valida riguarda la intrasferibilità della proprietà; un’eventuale alienazione comporterebbe la nullità del negotium che si configurerebbe “illecito” (1418 del cc.). L’eccezione alla regola è data dalla possibilità per gli enti di conferire la proprietà delle reti a società di capitali di cui detengono la maggioranza, che è incedibile. A queste società può essere affidata, senza gara, la gestione delle reti ed il compito di espletare le gare per l’erogazione del servizio (art. 113, comma 13).
Nell’ipotesi in cui le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali per la gestione dei servizi siano di proprietà di altri soggetti, diversi dall’ente locale, essi possono essere autorizzati a gestire direttamente i servizi, a condizione che siano rispettati determinati standard e siano praticate tariffe non superiori alla media regionale, salvo altra disposizione delle Autorità competenti (art. 113, comma 14).
Con riferimento alla gestione delle reti, l’art. 113 contempla due ipotesi: la gestione delle reti separata dall’erogazione del servizio e quella unita all’erogazione del servizio. La separazione non è obbligatoria ma solo eventuale (art. 113, comma 3).
Ai sensi del comma 4 del citato art. 113, la gestione delle sole reti può essere attribuita alternativamente a due diverse tipologie di soggetti:
a) società di capitali appositamente costituite (e quindi non già esistenti) con partecipazione maggioritaria degli enti locali, investite dei relativi compiti mediante affidamento diretto;
b) imprese idonee, selezionate attraverso procedure di evidenza pubblica.
Nel caso in cui la gestione delle reti sia congiunta all’erogazione del servizio, per l’affidamento si seguono le regole dell’evidenza pubblica di cui all’art. 113, comma 5; norma che, comunque, per l’erogazione del servizio, stabilisce la regola dell’affidamento a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedura ad evidenza pubblica.
I servizi privi di rilevanza industriale possono essere gestiti dall’ente locale mediante affidamento diretto a istituzioni, aziende speciali (anche consortili), società di capitali miste, ad associazioni e fondazioni costituite o partecipate dagli enti locali con riguardo ai servizi culturali e del tempo libero. Sono consentiti la gestione in economia, se il servizio ha modeste dimensioni o caratteristiche, e, comunque, l’affidamento a terzi sulla base di procedure di evidenza pubblica “quando sussistano ragioni tecniche, economiche o di utilità sociale” (art. 113-bis).
La Legge n. 448/2001 prevede, per l’applicazione della nuova disciplina di cui all’art. 35, un periodo di transizione per gli affidamenti in atto, che sarà disciplinato in modo dettagliato dal successivo regolamento governativo.

 

 2.7. La legge Bersani n.248 agosto 2006.
Il decreto Bersani ha previsto, all'art. 13 (al dichiarato fine di “evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori”), che le SpA a capitale interamente pubblico o misto, “costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti”, dovranno operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, e non potranno più svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, in affidamento diretto o con gara, né potranno partecipare ad altre società o enti. 
A tal fine, entro agosto 2007 dovranno cessare le attività non consentite, cedendo, “nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica”, tali attività a terzi ovvero scorporarle, anche costituendo una separata società da collocare sul mercato.
I contratti relativi alle attività non cedute o scorporate perderanno ipso iure efficacia, dal prossimo agosto 2007.
I contratti conclusi in deroga sono d'ora innanzi da ritenere “nulli”; è tuttavia ancora possibile concludere contratti per attività “esterne”, “in esito a procedure di aggiudicazione perfezionate prima” dell'entrata in vigore del decreto Bersani.
Riportiamo l’art. 13 della Legge:
Decreto Legge 4 luglio 2006 n. 223 coordinato con la Legge di conversione 4 agosto 2006 n. 248.
Art. 13. Norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e locali e a tutela della concorrenza .
1. Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti, in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, ne' in affidamento diretto ne' con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti. Le società che svolgono l'attività di intermediazione finanziaria prevista dal testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sono escluse dal divieto di partecipazione ad altre società od enti.
2. Le società di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1.
3. Al fine di assicurare l'effettività delle precedenti disposizioni, le società di cui al comma 1 cessano entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto le attività non consentite. A tale fine possono cedere, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, le attività non consentite a terzi ovvero scorporarle, anche costituendo una separata società da collocare sul mercato, secondo le procedure del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, entro ulteriori diciotto mesi. I contratti relativi alle attività non cedute o scorporate ai sensi del periodo precedente perdono efficacia alla scadenza del termine indicato nel primo periodo del presente comma.
4. I contratti conclusi, dopo la data di entrata in vigore del presente decreto, in violazione delle prescrizioni dei commi 1 e 2 sono nulli. Restano validi, fatte salve le prescrizioni di cui al comma 3, i contratti conclusi dopo la data di entrata in vigore del presente decreto, ma in esito a procedure di aggiudicazione perfezionate prima della predetta data.

3. CAPITOLO II

I dati, società per società


3.1 Elenco delle società miste accorpate in merito alla percentuale di partecipazione regionale

Percentuale di partecipazione al 100%
AIR                                                                                     100%
FilmCommission                                                                  100%
SORESA                                                                              100%
METROCAMPANIA                                                              100%
FERROVIA CIRCUMVESUVIANA                                         100%
SEPSA                                                                                 100%
EAV                                                                                     100%
SCABEC                                                                              100%
EFI,                                                                                     100%
SAUIE                                                                                 100%

Percentuale di partecipazione superiore al 70%
ASC                                                                                      90%
TALETE CAMPANIA                                                              90%
CITTA’ DELLA SCIENZA                                                       76,61%

Percentuale di partecipazione superiore al 50%
TESS                                                                                  52,55%
CCTA                                                                                  51,32%
RECAM                                                                               51%
ARCSS                                                                                52%
TRIANON                                                                           51%
CITHEF                                                                              50,01

Percentuale di partecipazione superiore al 30%
SMA CAMPANIA                                                                 49,00%
ART SANNIO                                                                      49,00%
MAURILIA (IN LIQUIDAZIONE)                                        49,00%

 

Percentuale di partecipazione superiore al 15%
ASSE                                                                                    15,05%
NAUSICAA                                                                            16%
CAMPAC                                                                                16,22%
CAMPANIA NAVIGANDO                                                        20%
SIRENA CITTA’ STORICA                                                      21,49%
MOSTRA D’OLTREMARE                                                        19,62%
CIRA                                                                                     15,86%
ISAAC                                                                                    27,78%

Percentuale di partecipazione inferiore al 10%
Bagnolifutura                                                                  7,50%
SVILUPPO ITALIA                                                           6%
CAAN                                                                               4,48%
PST                                                                                  2,00%
IMAST                                                                              9,63%
INTRAPRESA                                                                    1,87%
SUD GEST                                                                         0,19%


3.2 Elenco alfabetico delle Società partecipate dalla Regione Campania censite dalla II Commissione Speciale così come presentate nel Capitolo.

 1) AIR
2) ARCSS
3) ART SANNIO CAMPANIA
4) ASC
5) ASSE
6) BAGNOLI FUTURA
7) CAAN
8) CAMPANIA NAVIGANDO
9) CAMPEC
10) CCTA
11) CIRA
12) CIRCUMVESUVIANA
13) CITHEF
14) CITTA' DELLA SCIENZA
15) E.A.V.
16) EFI
17) FILM COMMISSION
18) IMAST
19) INTRAPRESA
20) ISAC
21) MAURILIA
22) METROCAMPANIA NordEst
23) MOSTRA D'OLTREMARE
24) NAUSICAA
25) PST
26) RECAM
27) SAUIE
28) SCABEC
29) SEPSA
30) SI.RE.NA
31) SMA CAMPANIA
32) SO.RE.SA
33) SUDGEST
34) SVILUPPO ITALIA CAMPANIA
35) TALETE CAMPANIA DIGITALE
36) TESS
37) TRIANON

3.3 Le Schede sintetiche, società per società, in ordine alfabetico


OMISSIS…..


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