Successo teatrale della pausa
Anche quest’anno, la
compagnia teatrale “Pausa” si è data da fare.
Ha infatti portato in scena un lavoro composto di due atti unici:
il primo, una farsa in vernacolo di Peppino De Filippo dal titolo
“Cupido scherza e spazza”; il secondo, genere arduo
quanto inusuale per un èpubblico abituato ad un certo tipo
di teatro, “L’altro figlio”, di Luigi Pirandello,
per la regia di Tommaso Travaglino, con musiche originali di Pasquale
Castaldo.
Lo spettacolo, dal titolo “Insieme” è inserito
in una serie di manifestazioni dal titolo “Insieme per i bisognosi”.
Era forte il bisogno infatti di continuare l’esperienza dello
scorso anno, allorquando si mise in scena “O ‘Voto”
di Salvatore Di Giacomo, perché questi giovani facessero
qualcosa di concreto e reale sia sul fronte culturale che su quello
più strettamente economico.
È stata una esperienza unica, dal momento che è stato
montato tutto lo spettacolo in sole tre settimane e la compagnia
è stata costretta a vedersi tutti i giorni.
Sul palcoscenico gli attori hanno dato tantissimo, forse al di sopra
delle aspettative, mostrando una padronanza scenica notevole, nonostante
le tre ora e passa di spettacolo che il pubblico ha gradito notevolmente.
“Sono passata dal piangere… per il troppo piangere”
–afferma una spettatrice entusiasta che si riferisce evidentemente
alla esilarante comicità della farsa e alla drammaticità
del testo pirandelliano. Forse, domenica, chi è uscito dal
teatro, lo ha fatto con qualcosa in più, qualcosa che mancava
alla propria vita: vedere cioè dei giovani fortemente motivati,
che credevano in quello che facevano, che erano coscienti di aver
gettato un sasso, forse piccolo o forse grande, nello stagno della
sub-cultura afragolese, impegnata in un trafficare senza fine, nella
vacuità di una esistenza spesa-mi si scusi per la veemenza
del linguaggio-senza orientamento.
“E vuie, vuie state assettate, ma nuie no! Io quaccosa l’aggia
fatt’,- afferma un tuonante pulcinella interpretato dal bravo
Andrea Di Maso, che scorazza su e giu per il pubblico – perché
– continua la celebre maschera napoletana, rientrando nel
sipario chiuso e scoprendo il suo volto umano –perché
io so omme, so omme, so omme”.
Da 'Afragola oggi'
del 27-01-1994
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