S.Antonio: il santo dei poveri
Storia, tradizioni, folclore
e religiosità naturale nella celebrazione delle festività
in onore di S.Antonio di Padova che si venera nel celebre Santuario
di Afragola. Domenica 13 giugno al via le celebrazioni.
Afragola
- Centomila comunioni e decine di celebrazioni eucaristiche che
si susseguono senza soluzione di continuità inaugurano la
serie di celebrazioni in onore del santo più amato dagli
afragolesi: S. Antonio di Padova.
Il Santuario di S.Antonio di Afragola accoglierà anche quest’anno
le folle immense di pellegrini, che accorreranno da ogni dove per
vivere un’esperienza di fede e di rinnovamento spirituale.
Una serie di celebrazioni che prenderà le mosse dalla festa
del Santo del 13 giugno, con la messa celebrata sull’ampio
sagrato del Santuario, che l’anno scorso ha visto la partecipazione
di circa ventimila fedeli; la peregrinatio della statua, che in
diversi giorni percorre tutte le strade della città tra fiori
e spettacolari fuochi pirotecnici e la singolare ‘ritirata’,
che registra la presenza ormai consolidata di diverse decine di
migliaia di pellegrini (l’anno scorso se ne sono contati cinquantamila),
che assistono alla conclusione del pellegrinaggio, al rientro della
statua del Santo nella basilica tra applausi ed urla festanti e
ai notevoli spettacoli pirotecnici, che fanno delle festività
in onore di S.Antonio di Afragola un fenomeno unico in Italia.
Una festa a cui ci si incomincia a preparare diverso tempo prima.
Per tredici giorni consecutivi si recita quotidianamente la ‘tredicina’
a cui partecipano fedeli che giungono ai piedi del Santo da tutti
i paesi vicini, molti a piedi nudi. Alla ‘vestizione’
del giorno 12 in una chiesa affollatissima, dove non è raro
sentire commenti a voce alta sull’aspetto del Monaco Santo,
segue la veglia. Durante la notte, giungono centinaia di pellegrini
che incominciano a riempire l’immenso sagrato che all’alba
sembra scoppiare.
“Ten ‘a faccia scura” (è rabbuiato in volto,
forse perché arrabbiato); “Sant’Antò,
famme a grazia” (S.Antonio, concedimi la grazia!) e tutta
una serie di impetrazioni o impressioni dette a voce alta, caratterizzano
la peculiare devozione degli afragolesi per il Santo del cuore.
Era e resta grande, la devozione degli afragolesi al Santo di Padova,
dovuta, forse, più che alla lunga serie di prodigi, al fatto
che Egli con il suo stile di vita e con i suoi miracoli si sia messo
sempre dalla parte dei poveri e dei perseguitati.
Nel napoletano, come del resto in gran parte del meridione peninsulare,
il culto di S. Antonio di Padova è diffusissimo nonché
antico. La ragione profonda della celebrità del santo di
Lisbona è da ricercarsi probabilmente nelle numerose tradizioni
che lo fanno apostolo, fondatore di conventi e taumaturgo, specialmente
in Sicilia. In barba alla vastissima letteratura concernente la
presenza del Santo nell’Italia meridionale, non sembra però,
stando ai biografi del Padovano, che le cose siano realmente andate
così. Secondo costoro nessuna città dell’antico
regno di Napoli può fregiarsi di una seppur fugace presenza
del Santo, ad eccezione, forse, di un viaggio del Nostro che, insieme
al Provinciale della Calabria, da Messina si recò ad Assisi
per prendere parte al Capitolo generale. Era il 1221.
Nel capoluogo campano il culto al Santo dei Miracoli, già
sullo scorcio del secolo XIII e ai primordi del XIV, era già
diffuso. Molti i centri di culto. Il più celebre, però,
e il più frequentato di tutti i santuari antoniani dell’Italia
meridionale è stato e resta quello di Afragola. La sua storia
è legata alla venuta dei frati francescani in questa città
che furono “dimandati fin dal 1618 a venire in questo paese”,
come afferma il Castaldi, un antico storico afragolese. Il Caterino
anticipa la data della suddetta richiesta al 1613 adducendo un documento
che sembrerebbe suffragare la sua tesi. Si tratta di una supplica,
redatta per iscritto, che sindaco eletti e notabili della Università
(città n.d.r.) di Afragola rivolgono al Vicario Generale
che reggeva la Diocesi in assenza del Card. Decio Carafa. Il documento
porta il sigillo di Afragola e data 1613. A questo punto è
d’uopo una riflessione: essendo questo un documento ufficiale,
non credo sia stato il frutto di una redazione estemporanea; deve
pertanto essere stata la concretizzazione, espressa per vie ufficiali,
di una volontà popolare che già da tempo andava maturando.
E’ probabile, quindi, che prima della fondazione del convento
domenicano, già esistente ad Afragola, il popolo già
mostrasse una chiara predilezione per i frati francescani. Sta di
fatto che dopo una lunga querelle tra i figli di S. Domenico e quelli
di S. Francesco, nel 1633 iniziarono i lavori per volontà
del Card. Francesco Buoncompagno, ben cinque anni prima della stipulazione
dell’ “Istrumento” di compra-vendita tra Gio.
Battista Lajezza, incaricato dal comune e D. Giovanni Respinis,
proprietario di quattro moggi nel luogo detto “L’arco
di S. Giorgio”, sito nell’odierno complesso francescano.
Il convento ha subìto numerosi restauri ed è stato
un centro culturale vivissimo in un crescendo di devozione, culto
e fervore religioso per tutto il settecento e quasi per tutto l’ottocento.
Nel Regestum Provinciae (1856) si legge che dimoravano nel convento
afragolese ben 35 frati dei quali 15 erano sacerdoti, 3 chierici,
2 laici e 15 terziari oblati. Era quindi un centro culturale, oltre
che cultuale, di un certo spessore.
Già nel XIII sec. i cronisti notavano, quindi, un fervidissimo
culto per il Padovano, una venerazione fervida, che ancora oggi
sembra rimanere ferma nel tempo. Folle impressionanti ed una religiosità
popolare caratterizzata da una schietta familiarità con l’oggetto
di culto che rasenta la confidenzialità amicale e la richiesta
di “grazia ad ogni costo”.
E’ facile, allora, notare, specialmente nel giorno della festività
del Santo, migliaia di fedeli che strofinano oggetti o lembi di
tessuto sulla statua del Santo di Padova, come se effluvi sprigionati
dall’icona potessero trasmettere i loro poteri taumaturgici.
E’ quanto afferma P. Antonio di Nola nell’incipit del
XVIII secolo: “S. Antonio dispensava innumerevoli grazie (...)
ed è tale la confidenza che hanno preso col loro adorato
protettore che talvolta l’impegnano con dolci maniere a far
prodigi. Non vi è anno che nel giorno della sua sacra solennità,
dove concorre una innumerabile moltitudine, non solo dalla città
di Napoli ma anche dei più lontani paesi, che non sia segnato
con la singolarità di qualche miracolo”. Anche il Castaldi,
nel 1830, ci regala un quadro molto suggestivo tratteggiante i festeggiamenti
in onore del Santo. Nel 13 del mese di giugno “si calcolano
a circa centomila le sante comunioni che si amministrano nel Santuario.
Si svolgono commoventi scene ai piedi del Santo: si implora, si
piange, si ringrazia, si fanno voti e promesse talvolta anche clamorosamente”.
Si delinea in queste righe un quadro di un mondo particolare, che
lascia trasparire la chiara matrice culturale di stampo agricolo
sulla quale il cristianesimo in quanto tale si innesta, pervadendo
tutte le dimensioni della vita privata e sociale.
E’ un mondo, questo, ricco di leggende, di detti, di superstizioni
e di magia, affascinante nelle sue sfumature misteriche; mondo dove
i fedeli meridionali e afragolesi riuscivano e riescono ancora ad
esprimere, nel bene e nel male, una ricca identità, connotata
dall’amore viscerale per “ ‘o munacone”
(il grande monaco buono), il monaco “vicino alla gente”,
il Santo dei poveri.
Da ‘Asse Mediano’
del 10-06-2004
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