Grazie di cuore

Dopo una malattia violenta e caduta come un fulmine a ciel sereno, a luglio scorso è venuto a mancare Natale Cerbone, fondatore ed editore di Cogito.
La sua scomparsa prematura ha mandato in subbuglio la redazione e ha sconvolto comprensibilmente le regolari uscite del giornale. Oggi, a fatica, addolorati, riprendiamo.

Caro Nuccio
Personalmente affido questo nuovo corso del giornale alla intercessione delle tue preghiere, nella viva speranza che tu sia al cospetto dell’Onnipotente.
E’ la mia fede cristiana che mi rincuora e mi fa sperare che tu sia nella comunione dei Santi e che possa intercedere per la mia vita, per quella dei tuoi cari e per una delle tue creature più belle: Cogito.
La grandezza della vita non non si misura nella durata, ma nell'uso: qualcuno ha vissuto poco pur avendo vissuto a lungo, di sicuro la tua vita è stata lunga, perchè significativa.
Questo, per chi non ti ha conosciuto potrebbe significare poco, un artificio retorico o un’espressione di circostanza. Eppure, almeno la mia vita, porta con sè un pò di te.
Le lunghe passeggiate sul lungomare di Gaeta, le cene e le risate di cuore, i racconti e le speranze, i sogni e le paure, i nostri ragionamenti accesi e quella che definivo “la tua testardaggine”, i grossi progetti che avevamo, lo studio di quel progetto che mi affidasti e le cose, le tante cose, che avevamo in testa di realizzare. E il grande rispetto che avevi di me e del mio ruolo nel giornale, la forza che davi alle tue idee, il tuo sorriso...
Hai lasciato molto di te. In me, c’è molto del tuo spirito.
Il giornale, che tu hai fondato e che mi hai chiesto, quella sera, con un pizzicotto sulla guancia, che continuasse, mi parlerà di te.
Ero in redazione e tu uscisti dallo studio, trafelato, accompagnato dai tuoi collaboratori, già in tensione per la malattia, la fronte aggrottata dalle preoccupazioni, gli occhi profondi ed intensi.
Non ci fu bisogno di parole.
Mi guardasti negli occhi qualche attimo, io ti guardai, mi stringesti con un pizzicotto la guancia dicendomi: “Direttò, mi raccomando ‘ o giurnale”. Io ti risposi con un sorriso.
Forse quella precisazione perchè qualche giorno prima c’era stato qualche malinteso. Da mettere in conto in una redazione. Ripensandoci, però, lì ho letto in quelle parole, in quello sguardo, in quell’attimo fugace ma intenso il tuo testamento spirituale. Quella sera mi dicesti senza parole: “Fallo continuare... non mollare”.
Non preoccuparti, mio dolce amico, stai tranquillo. Non mollerò.
Ogni volta che scriverò e lavorerò per esso, tu ci sarai; e i tuoi sogni, le tue speranze, la tua testardaggine, il tuo sorriso.
E nei momenti di sconforto e di disperazione, penserò a te, alla forza e al conforto che sempre mi offrivi, al tuo sorriso e alla tua pacca sulla spalla.
Non serve dire altro. Il resto è la mia esperienza di te, che chi legge non capirà. Perchè non può capire.
Il resto è silenzio.
Il silenzio agghiacciante di un’assenza, pesante, tremenda, inconsolabile.
E chi non ti ha conosciuto non può capire, perchè la parola non può esprimere il dramma del mio cuore, del nostro cuore.. Non può.
E forse è proprio questo, il solco che scava il ricordo del tuo sorriso nelle mie viscere, che mi accompagna e accompagnerà la mia storia, il tesoro che porterò con me e custodirò, gelosissimo. Nel mio cuore.
Grazie, amico mio. Grazie per l’amicizia che mi hai donato, per l’aiuto che mi hai offerto quando te l’ho chiesto, per la fiducia che hai nutrito in me, per il bene del quale mi hai amato.
Grazie dolce amico mio. Grazie di cuore.

Da 'Cogito' del 7-12-2003

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