Il neo-tomismo napoletano

Dopo essermi accostato al n’2 di “Annali del 28 Distretto Scolastico di Afragola” del 1991 e aver letto il saggio su “Il Neotomismo napoletano e la filosofia cristiana nel secolo XIX che portava la firma di Concetta Piccirillo, ne sono uscito, a dir poco, insoddisfatto mi aspettavo probabilmente un contributo più profondo, che fugasse la tentazione dello sterile “descrittivismo” giornalistico per impegnarsi ad enucleare più esaustivamente la problematica.
Il Movimento culturale di matrice cattolica conosciuto col nome di “neo-tomismo” napoletano, sono verso la metà del sec. XIX non è stato ancora valorizzato in tutta la sua valenza squisitamente filosofica egemone di turno (positivismo, kantismo ed heghelismo) monopolizzava l’intellighentia napoletana, emerse prepotente una scuola, quella neo-tomista, appunto, che ebbe il coraggio dell’anticonvenzionalità e della originalità. Non si tratta di un ritorno pedissequo ad una sterile scolastica settecentesca, ma di una originale rivisitazione del pensiero del Doctor Angelicus ponente il problema metafisico al centro della speculazione filosofica, in palese contrapposizione agli epigoni agnostici della critica kantiana, che avevano defenestrato il “problema Dio” in quanto non indagabile (Kant affermava infatti che su Dio è impossibile dire qualcosa in quanto il motore della nostra mente funziona eslusivamente con la benzina spazio-tempo). Corollario di questa filosofia è l’impossibilità di una fondazione ontologica della morale.
L’heghelismo è, sul piano sia morale che antropologico, non meno nefasto del kantismo e l’opposizione della scuola napoletana all’idealismo è, parimenti, molto forte. Corollario della tesi hegheliana infatti è il panteismo (tutto è Dio perché per Heghel tutto è Spirito. Il dualismo cartesiano viene risolto nel monismo.
Anche le cose materiali non sono altro che lo Spirito che si concretizza, che si fa materia) nonché il panpsichismo e il pantragismo. Da qui alla formulazione dello “StatoEtico” (nel quale la giustizia e la legalità coincidono) il passo è breve. Nello “stato di diritto” per esempio, una legge può anche essere ingiusta; nello “stato etico” no (si pensi a Hitler). La legge è giusta perché lo stato è la suprema incarnazione dello Spirito.
I neo-tomisti attaccano questo concezione. La persona umana infatti rischia, in questo ambito, di assumere un ruolo di marginalità o di “corollario nell’orizzonte giuridico” (cfr. PRISCO G., Principi della filosofia, del diritto sulle basi dell’etica, Napoli 1872, 68).
Il tentativo poi di svilimento storico di stampo positivista si presenta con gli stessi caratteri di pericolosità delle due concezioni precedentemente attaccate.
Il contributo di codesta scuola e la rilevanza dei suoi influssi è notevole: dalla gnoseologia alla metafisica, dal diritto alla teologia. L’aspetto però ancora da valorizzare è rappresentato, a mio avviso, dall’assenza di “eterosiasticità” tra i due poli culturali che tanto hanno diviso e settorializzato la ricerca, soprattutto in campo cattolico: scienza e fede.
La fondazione della rivista “La Scienza e la Fede” (1849) da parte di Gaetano Sanseverino (il fondatore della scuola) la dice lunga in merito. Il sottotitolo poi è tutto un programma: “Raccolta religiosa, scientifica, letteraria ed artistica che mostra come il sapere umano renda testimonianza alla religione cattolica”.
Questa è la ragione per cui anch’io mi situo concettualmente nell’ambito di questa corrente di pensiero, parafrasando il grande P. Orlando, docente di filosofia Teoretica presso la pontificia facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, che si definisce: “Neo-tomista della terza generazione”. Riscoprire il neo-tomismo allora, non significa citare nomi e date; sarebbe come trascurarlo o, forse peggio, deturparlo e questo sarebbe imperdonabile per uomini che tanto parlano di riscatto e di valorizzazione del nostro meridione.


Da 'Afragola oggi' del 27-01-1994

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